Da oggi è in distribuzione il terzo numero di “Sabot – Foglio discontinuo di pratiche continue”. Un foglio, vale la pena di ricordarlo, autoprodotto, che non riceve finanziamenti nè patrocini da partiti o sindacati.
Lo trovate all’aperitivo organizzato da Saperi Banditi alle 18 di stasera e in giro per la città e i dipartimenti dai prossimi giorni.
Per chi volesse consultarlo online o volesse stamparlo, Sabot n3 – SPA la versione in pdf.
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Un natale fra bombe e ipocrisia
Con l’inasprirsi della guerra in Siria, il silenzio mediatico su di essa è sicuramente calato. A questo, però, non è corrisposta un’informazione che fosse, soprattutto, in grado di contestualizzare quanto stia avvenendo. Per questo, anche sulla spinta dell’incontro sulla Siria del 7 dicembre (all’interno delle due giorni di discussioni contro la guerra)abbiamo provato a rendere maggiormente chiari alcuni punti.
Negli ultimi anni si sente sporadicamente parlare del conflitto in Siria. Nelle scorse settimane si è invece assistito ad un vero e proprio boom mediatico con i riflettori puntati su Aleppo. La reazione della società civile non si è fatta attendere: manifestazioni ed eventi in sostegno del popolo siriano sono state organizzate pressoché ovunque. Le vere vittime di questo conflitto, come di ogni altro, sono i civili. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) sono morti 86.692 civili dall’inizio delle ostilità a settembre 2016. I rifugiati siriani espatriati sarebbero inoltre 4.088.078. Questi fatti sono però scomparsi improvvisamente dalle cronache quotidiane, non appena si è verificato l’ennesimo attentato in Europa. L’attacco di Berlino ha innescato la classica risposta securitaria e xenofoba, nonché una scontata suddivisione in civili di serie A e civili di serie B. Anche il M5S si è accomodato sulla poltrona delle facili generalizzazioni chiamando a gran voce la chiusura delle frontiere. L’attentato in Germania e l’omicidio dell’ambasciatore russo in Turchia non sono altro che dirette conseguenze del conflitto siriano stesso. Entrambi i responsabili di tali azioni hanno infatti rivendicato le vittime civili in Siria. Vediamo quindi violenza chiamare altra violenza, guerra chiamare altra guerra.
Quanto sta accadendo oggi in Siria non si può ridurre però all’idea che lo scontro sia fra il cattivo regime di Assad e i combattenti per la libertà e, neppure, secondo un’analisi opposta ma speculare, un Assad anti-imperialista che affronta una ribellione totalmente manovrata dagli Stati Uniti. La guerra che sta lacerando la Siria è soprattutto il prodotto di uno scontro fra potenze per le risorse della regione, strategica per il passaggio del gas, per cui ogni Stato appoggia una diversa fazione con l’obiettivo di perseguire i propri fini e le fazioni sul campo sono anche molto diverse fra di loro. Mentre da un parte c’è il regime di Assad, intenzionato a mantenere il potere, appoggiato dalle forze sciite, iraniane, libanesi e dalla Russia, dall’altra c’è lo Stato Islamico (IS) che cerca il controllo sulle zone petrolifere, la Turchia che intende approfittare dell’instabilità per annientare le forze curde, l’Arabia Saudita che appoggia l’IS contro Assad, e gli Stati Uniti che appoggiano alcuni gruppi ribelli. In favore del regime di Assad non potevano inoltre mancare le retoriche pro-regime, messe in atto dalle forze neofasciste italiane. L’8 ottobre, un gruppo di Forza Nuova, ha fatto irruzione nello spazio espositivo della mostra Caesar, relativa alle torture nelle carceri del regime. A quanto pare, per questi noti revisionisti, la mostra avrebbe rappresentato un “intollerabile mistificazione”. A questo si aggiungono dichiarazioni improponibili come quelle del vicepresidente di Casapound, Simone di Stefano, che negano il massacro ironizzando sulla condizione dei bambini di Aleppo, attribuendogli ricchezze che non possiedono. Un’altra dichiarazione a sostegno di Assad, è quella di Eva Bartlett (attivista e blogger pro-Palestina), il cui video, che ha fatto il giro dei social networks, supportava argomentazioni “negazioniste” in favore di Assad e Putin. Evidentemente l’oppressione di Assad ai danni del popolo siriano non è paragonabile quella inferta da Israele ai palestinesi.
Quello che i media tacciono riguarda il coinvolgimento diretto delle potenze occidentali a sostegno di tale conflitto, il massacro dei civili siriani non assolve infatti alcun governo. L’amore per i facili soldoni non è un’esclusiva dei paesi non democratici ed i governi europei sono implicati nel perpetuarsi di queste logiche belliche attraverso il commercio, legale e illegale. Proprio questo mese la società informatica italiana “Area”, che fornisce a molte procure le tecnologie per le intercettazioni, è stata accusata di aver esportato illegalmente il suo sistema in Siria. Avrebbe infatti violato l’embargo comunitario creato apparentemente per evitare di supportare economicamente i regimi dittatoriali. Nonostante ciò, questo sistema è stato usato tranquillamente da Assad per intercettare i suoi oppositori. Quando si tratta di controllare gli oppositori, democrazie e dittature sembrano insomma trovare dei punti d’intesa. Un altro esempio di tale ipocrisia è riportato da un’inchiesta giornalistica che denuncia la vendita di armi e bombe italiane e inglesi all’Arabia Saudita. Questi armamenti partiti dai porti di Cagliari e Londra arriveranno dunque, direttamente o indirettamente, sulle teste dei civili siriani e yemeniti (una guerra che i media insabbiano nel silenzio).
Nella confusione e nelle tortuosità della real politik una cosa appare evidente: l’ipocrisia dei governi occidentali, pronti a piangere i morti e invocare la pace, ma ancora più pronti ad appoggiare qualcuno degli attori coinvolti per i propri interessi, mentre le industrie belliche ingrassano con la vendita di armi e si cerca di tenere lontani i profughi prodotti dal conflitto con la militarizzazione delle frontiere e l’appoggio al regime turco di Erdogan. Occorre fare un po’ di chiarezza e andare oltre le immagini che tutti i giorni ci vengono mostrate sui principali media di informazione. Stare dalla parte degli oppressi è l’unica prospettiva che riteniamo valida per comprendere la realtà al di fuori delle logiche di dominio.
Thales e Finmeccanica in università? Non staremo in silenzio!
Nella tarda mattinata di oggi – 14 dicembre – siamo andati a volantinare al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione della F di Povo un breve testo per portare all’attenzione degli studenti alcuni semplici fatti: che nella stessa mattinata si stava svolgendo, in un aula del dipartimento, un incontro con un docente francese ce lavora per un impresa dell’industria bellica (Thales spa), sviluppando tecnologie applicate ai mezzi militari.
Mentre distribuivamo il volantino davanti all’aula in questione, ci si è presentato un professore del dipartimento (che abbiamo in seguito scoperto lavorare per Eledia) dicendoci dapprima che non potevamo entrare nel dipartimento senza badge (!), in seguito che non potevamo volantinare (!!) e infine che non potevamo volantinare senza l’autorizzazione del direttore di dipartimento (!!!).
Il fastidio del professore in questione di fronte al nostro volantinaggio (che è proseguito in tranquillità) ci è sembrato il segnale di come sia problematico per l’ateneo trentino anche il semplice fatto che si ribadiscano delle verità sotto gli occhi di tutti: che dentro le strutture universitarie agiscono aziende e centri di ricerca che lavorano sulla guerra e per la guerra.
E loro certamente hanno tutte le autorizzazioni necessarie per fare quello che fanno.
Di seguito il volantino distribuito:
Cartoline dal Festival dell’Economia
Ci siamo lasciati alle spalle il Festival dell’Economia anche quest’anno.
Per quattro giorni una mareggiata arancione ha investito la città insinuandosi negli angoli più reconditi: arredi urbani, stand, biciclette, vetrine, tazze, borsette e persino il colore degli spritz pareva più intenso del solito.
Addirittura, per incoraggiare la partecipazione degli studenti al Festival e per consegnare gli spazi universitari alle sue esigenze, l’Ateneo ha chiuso aule studio e laboratori di diversi dipartimenti.
Tutto sembrava voler trasmettere l’immagine di una manifestazione gioiosa, solare e ottimista.
Ci siamo espressi sin da subito circa ciò che per noi quest’occasione rappresenta (qui) e non lo abbiamo fatto certo per purismo ideologico o per incarnare il ruolo dei “soliti grigi guastafeste”.
Ci preme ribadire che un po’ di addobbi e di stand patinati sparsi per le vie del centro non sono sufficienti a farci dimenticare le nefandezze che, a nome della ragion di mercato, vengono portate avanti ogni giorno, in ogni parte del mondo, così come a due passi da noi.
E ci è capitato di notare, in giro per la città, alcune dimostrazioni di dissenso che stridevano col generale clima di festa.
Nelle scorse giornate sono apparsi dei programmi aggiornati del Festival, che pare abbia deciso di cambiare all’ultimo momento il suo nome in “Festival dell’Economia. I luoghi dello sfruttamento”, nonché di mettere nero su bianco a cosa servono le riforme del mercato del lavoro e che peso abbia l’industria bellica nell’economia e nelle finanza italiane.
In maniera simile, anche decine di opuscoli del programma hanno subito correzioni dell’ultima ora.
Decisamente una scelta coraggiosa e in controtendenza da parte della direzione del Festival!
Sono comparsi anche diversi manifesti in solidarietà alle rivolte francesi contro Loi Travaille e Ètat d’Urgence.
Inoltre mentre il gioioso e colorato Festival proseguiva con l’ausilio di una massiccia presenza di reparti anti-sommossa, volanti e DIGOS, alcune contestazioni hanno comunque avuto luogo.
Sabato 4 giugno l’incontro su “Turchia ed Europa”, che vedeva come ospiti un esponente del Fondo Monetario Internazionale e un responsabile del think tank turco EDAM, è stato contestato da un gruppo di compagni che, con uno striscione (“No agli accordi UE-Turchia. Erdogan assassino. Solidarietà con il Rojava che resiste”) si sono posizionati accanto all’ingresso del Dipartimento di Giurisprudenza. Sono stati fatti alcuni interventi e distribuiti volantini circa quanto sta accadendo in Turchia e su come ciò non sia così slegato da quanto avviene al Brennero o a Ventimiglia. Di seguito il testo del volantino:
Da menzionare infine l’iniziativa dei sindacati di base trentini che hanno indetto per domenica 6 giugno due diverse manifestazioni per contestare rispettivamente Boschi e Poletti.
3 maggio, aperitivo no borders
Nuovo numero di Sabot! Giovedì 7 aprile presentazione e dibattito
E’ USCITO IL SECONDO NUMERO DI SABOT!
Lo trovate in Aula Rostagno, in giro per la città e qui sul blog.
Un numero il cui tema principale sono i confini.
Confini nazionali sempre più impermeabili e respingenti: la Fortezza Europa si difende col filo spinato e rigetta il tanto acclamato principio di libera circolazione.
Confini all’interno delle città che mirano a marginalizzare quelle categorie ritenute “portatrici di degrado”.
Confini relazionali, spesso difficili da cogliere, che condizionano le nostre esistenze.
Abbiamo cominciato a ragionare su queste frontiere innanzitutto per imparare a riconoscerle: identificarle è il presupposto necessario a combatterle.
GIOVEDi’ 7 ci vediamo in Aula Rostagno alle 18:00 per discuterne insieme!