Sull’inaugurazione della nuova biblioteca

“Un giorno trovai per caso un’incisione raffigurante un architetto dell’India antica: un uomo seduto al centro della casa, armato di una lunga pertica, con la quale indicava agli operai dove posare la pietra. Stare seduto e dare ordini ai muratori: avevo trovato la mia vocazione. Renzo Piano (architetto)”
           [da Architettura e anarchia di Jean Pierre Garnier]

alberezombie

Sabato 19 Novembre l’Ateneo trentino ha celebrato l’inaugurazione della nuova Biblioteca Universitaria Centrale, situata nel complesso
residenziale delle Albere e costata ben 46,78 MILIONI DI EURO. La solenne cerimonia, oltre che dell’illustrissimo architetto Renzo Piano, ha visto la partecipazione del presidente della Provincia Ugo Rossi. del sindaco Andreatta e del rettore Paolo Collini,
Proprio quest’ultimo, ha dichiarato che la struttura “sarà una biblioteca per tutti i trentini, aperta non solo a studenti,
ricercatori e docenti”. Le sue parole non hanno dovuto attendere per essere smentite, poco dopo infatti degli studenti del collettivo Refresh intenti a contestare la cerimonia venivano allontanati dalle forze dell’ordine.
Come credere anche stavolta all’inganno del taglio delle borse perché “non ci sono soldi” mentre milioni vengono spesi in una struttura inutile? Per di più l’apertura della Biblioteca alle Albere non è che un’astuta mossa per rilanciare l’immagine di un quartiere fantasma abitabile solo da ricchi, visti i prezzi esorbitanti dei suoi immobili, e per costringere chi ha bisogno dei servizi bibliotecari a recarsi nelle sue strade, vissute per ora solo da telecamere e guardie private.
La Biblioteca Universitaria Centrale delle Albere e la sua inaugurazione ci offrono un riflesso dell’immagine dell’università che si vuole imporre: un progetto a favore della classe dirigente e imprenditoriale, dove gli studenti – quelli che vi possono accedere – hanno il ruolo di semplici spettatori, passivi e applaudenti.

Molto più di un aula…In merito ai recenti attacchi all’Aula Rostagno (e non solo)

E mia madre m’ha guardato / dice: come sei finito! /
cosi in basso non t’avrei pensato mai. / Sì ma in basso puoi scoprire/
le sottili incrinature che non puoi studiare all’Università.

(Gianfranco Manfredi, Ma non è una malattia)

In seguito allo sgombero di Nave Assillo Occupata, il consigliere della civica trentina Borga ha presentato un‘interrogazione al consiglio provinciale, lamentando l’esistenza di una sede del movimento anarchico che secondo lui si troverebbe «all’interno dell’Università di Trento, ove da lungo tempo un’aula è di fatto stata occupata dagli anarchici senza che, a quanto risulta, l’autorità competente sia mai intervenuta». Borga ha poi chiesto che «l’Università si attivi al fine di sottrarre al controllo degli anarchici l’aula […] riconsegnando la medesima nella piena disponibilità di tutti gli studenti dell’Ateneo».Una settimana fa, inoltre, dopo che in un articolo apparso sull’adige venivano resi pubblici i nomi dei rinviati a giudizio per una delle occupazioni avvenute in città, qualcuno ha pensato bene di divulgare le generalità ed i dipartimenti di appartenenza di quattro degli imputati nel processo. Il tutto sottolineando come questa sia la prova di un collegamento fra anarchici e Aula Rostagno Autogestita.
Un‘aula occupata…dagli anarchici?

Partiamo innanzitutto da un dato di fatto: l’Aula Rostagno a cui allude Borga non è (ahinoi) occupata ma autogestita dalle studentesse e dagli studenti, e non è la “sede degli anarchici”. Non è affatto sottratta a chi vive il dipartimento, anzi: è uno spazio vissuto da decine di persone che lì studiano, si incontrano per fare due chiacchiere, mangiare quello che si portano da casa o semplicemente rilassarsi. Chi frequenta l’università lo sa bene. Come del resto è risaputo e niente affatto un mistero che l’aula sia anche utilizzata per dibattiti, assemblee, presentazioni di libri o filmati. Noi che scriviamo partecipiamo attivamente all’autogestione e dall’Aula Rostagno partiamo per riflettere ed agire rispetto all’università, alla città e a contesti di più ampio respiro. Ci siamo scelti questo nome, Saperi Banditi, che ricorda a noi e a tutti coloro che entrano a contatto con le nostre attività che il sapere non è unico e non è neanche neutrale. Rigettiamo quell’idea di studio inteso come apprendimento di nozioni più o meno tecniche finalizzato al solo collocamento nel mercato del lavoro. La conoscenza è molto di più e siamo convinti che valga ancora la pena farlo presente all’interno del contesto universitario.
Lo stigma

Non è la prima volta che sentiamo definire a sproposito lo spazio autogestito di Sociologia come il covo degli anarchici. Perchè questa insistenza sulla presunta appartenenza al movimento anarchico? Fa comodo sussumere tutti all’interno di questa categoria, dato che gli anarchici in Trentino (ma anche altrove) sono al centro di una forte demonizzazione da parte di stampa, politica e ovviamente questura. Ciò è funzionale a negare l’esistenza di una pluralità di realtà che lottano rifiutando logiche di mediazione e di rappresentanza. Sembra poi quasi che questi anarchici siano una sorta di specie aliena, distante dal tipo di vita condotto da tanti altri studenti, lavoratori precari, abitanti di questa città.
Come Saperi Banditi e come frequentatori dell’Aula Rostagno non ci siamo mai dati una definizione ideologica di qualsivoglia tipo. Sappiamo bene quello che ci accomuna e tanto ci basta. Non siamo circoscrivibili a nessun gruppo esterno e ci siamo sempre rivendicati la nostra autonomia d’azione e decisionale, basata sul metodo assembleare: le decisioni che ci riguardano le prendiamo noi e non certo altre realtà cittadine. Abbiamo sempre sostenuto e cercato di dare un nostro contributo alle lotte esistenti in città e abbiamo come nostri compagni e solidali anche gli anarchici, che in queste sono spesso in prima fila. Non ce ne vergogniamo affatto e respingiamo l’ennesima campagna terroristica contro il movimento anarchico trentino.
Dell’università, degli studenti, delle lotte

Quello che traspare dalle accuse di chi attacca l’autogestione in ateneo è che la politica debba stare fuori dall’Università. Ma il fatto che in consiglio provinciale si parli della gestione degli spazi universitari non è un‘evidente ingerenza da parte delle istituzioni locali? Aveva ragione chi anni fa riteneva che la provincializzazione dell’ateneo (ora finanziato dalla provincia) avrebbe portato quest’ultimo ad essere asservito agli interessi dei poteri forti trentini. Noi non possiamo tenere la politica fuori dalle nostre vite, perchè non bastano i muri dell’università a separarci da quanto accade nel mondo esterno e nella città di Trento (per non parlare di quello che succede dentro l’università).
Se la realizzazione del TAV, imposta dall’alto, incontra la determinata resistenza di una crescente parte della popolazione, possiamo forse chiamarcene fuori?
Se i picchiatori fascisti di casapound, tollerati dalle istituzioni trentine e protetti dalla questura, compiono aggressioni in città, possiamo far finta di nulla?
Se sul confine del Brennero viene costruito l’ennesimo muro della Fortezza Europa, mentre il Mar Meditteranneo è ormai rosso sangue per i morti, possiamo restare solo a guardare?
Se decine di persone scelgono di occupare per avere un tetto o anche solo un luogo in cui trovarsi in una città mercificata, a misura dei più abbienti, ottenendo in risposta sgomberi e manganellate, possiamo forse evitare di essere solidali?
Se l’università in cui studiamo collabora con israele e si rende complice dell’oppressione del popolo palestinese, possiamo stare zitti?
Per alcuni gli studenti dovrebbero pensare solo a studiare e a laurearsi il prima possibile, senza farsi troppe domande su quello che succede loro attorno e soprattutto senza provare ad agire per cambiare le cose. Vorrebbero un‘università simile a un‘azienda, dove chi ha il capitale (in questo caso la provincia) decide e dispone e gli altri obbediscono in silenzio senza avanzare la minima obiezione. Lo diciamo ancora: ci rifiutiamo di fare nostra una simile logica.
È in atto una forma di repressione verso uno spazio presente da più di cinque anni, ma non solo: è in corso il tentativo di imporre un modo univoco di intendere l’università, in cui non c’è spazio per certi saperi. Banditi sono coloro che messi al bando dall’autorità non si rassegnano e continuano per la propria strada, cercando complicità.
Nel caso le minacce avanzate in questi mesi dovessero concretizzarsi facciamo appello alle studentesse e agli studenti, alle lavoratrici e ai lavoratori precari dell’ateneo (docenti, ricercatori, personale delle cooperative) e a tutte le persone solidali di essere presenti e manifestare la propria solidarietà attiva.
Noi non ci fermiamo a quell’aula e anche senza quell’aula non ci fermeremo!
Saperi Banditi